martedì, settembre 12, 2017

Film senza storia

Il cinema multisale Arcadia si trova a Melzo. La sala Energia ha lo schermo più grande d'Europa e l'hanno scorso ha preso il premio come miglior sala europea con la tecnologia più avanzata. Sono entrato dentro sabato scorso per vedere il colossal Dunkirk. Questo tipo di film preferisco vedere in un sale cinematografica perché perde tanto se si vede al televisore. L'inizio era previsto alle 17:30. Di solito sparano prima una marea di pubblicità che non sopporto.  Il prezzo dei biglietti è alto e devo subire anche un lavaggio del cervello. Questo volta hanno dato soltanto l'anteprima di alcuni film in arrivo e questo mi sta bene, come informazione. Sottolineo che il biglietto questa volta era di 12 euro perché la proiezione era in 70 mm, una pellicola che offre una maggiore qualità. Sono bravi a sfilarci i soldi dalla tasca, ma almeno passo 2 ore godendomi un bel film.

Dopo 20 minuti stavo pensando di abbandonare la sala. Il film era noioso ma era il suono che mi dava fastidio. Una nuova tecnologia Dolby con i bassi particolarmente accentuati. Vibrava tutto in una cacofonia disordinata e violenta. Ho letto che alcuni hanno apprezzato tanto la musica. Ma quale musica? Io ho sentito soltanto rumori, infinite esplosioni e le note disarmoniche. Forse a qualcuno piace, ma io quasi volevo abbandonare. Alla fine sono riuscito a convincermi di rimanere. Maliziosamente già sapevo che ci sarà tanto materiale per una bella critica negativa. Il tema è un evento dall'inizio della Seconda Guerra mondiale quando i tedeschi hanno intrappolato 400 mila soldati francesi ed inglesi. Questi aspettavano disperatamente le navi che gli porteranno oltre la Manica, nella Gran Bretagna. Ma le navi non arrivavano. Alla fine sono stati evacuati con le barche piccole dei cittadini inglesi che si sono lasciati attirare in quest'avventura.

Come si fa un film su questo tema. Ho racconti le cose come sono andate o affronti una o più storie personali che in modo indiretto fanno capire cos'è successo, insieme alle sofferenze dei personaggi raccontati. Il regista ha apparentemente scelto la seconda modalità. Apparentemente, perché la storia vera non c'è. Si susseguono le immagini dei bombardamenti, delle navi che affondano e delle battaglie aeree. Delle persone si vedono poche e le loro storie non sono per niente coinvolgenti. La maggior esposizione è data h un soldato inglese. All'inizio tutti i soldati inglesi sono schierati in modo ordinato, come la disciplina militare richiede, sulla spiaggia aspettando le navi. Lui invece sembra un disertore, gira tra gli altri soldati e alla fine prova a imbarcarsi su un flottante della croce rossa, in modo fraudolente. Proprio non si capisce chi è e cosa fa. L'unica distinzione farei con il capitano inglese, suo figlio ed amico di suo figlio che con una barca partono dall'Inghilterra per salvare i soldati. Anche il personaggio del pilota di uno Spitfire. Partono in tre e ogni tanto uno viene abbattuto, ma lui è sempre là, eroe in primo piano.

Alla fine attere su una spiaggi, perché è rimasto senza carburante (almeno 15 minuti prima di atterraggio), e la lo catturano i soldati nemici. Nel film non si menziona mai che sono i nemici, cioè non si pronuncia mai la parola "tedeschi". Meno male che la durata è relativamente limitata; un'ora e mezza, se no mi veniva urticaria. Accesesi le luci della sala, ascoltavo un po' cosa dice il pubblico e ho visto i vari umori: ad alcuni è piacito ad altri no.  Lo stesso è anche con il popolo Internet. Su IMBD il film ha un voto elevatissimo, 8,4 di 10, ma tra i commenti si trovano anche le critiche molto aspre ed argomentate. Molte delle argomentazioni condivido in pieno. Si tratta di un film che vuole stupire con le immagini, con il suono e con le scene crude di sofferenza, ma non va oltre.

Allora, l'arte cinematografica è come tutte le arti soggetto alle valutazioni varie. Non è un ramo della scienza che si può valutare in modo matematico. Mi rendo conto che sono in minoranza, ma sono convinto che questa pellicola non si merita tutta quella attenzione alla quale è sottoposta. Una buona parte di alcune clamorose dichiarazioni, come per esempio che si tratta di un capolavoro, sono dovute al fatto che con gli incassi occorre coprire le enormi spese che il film ha richiesto per la sua produzione. Si parla di un importo superiore ad un miliardo di euro. Soldi buttati in vano. Negli ultimi tempi le produzioni si basano sempre di più sull'azione, sugli effetti visivi e audio che sulle storie da raccontare. I tempi sono così.

Le nuove generazioni non riescono ad essere concentrate su una scena più di 10 secondi e per questo che si è velocizzato tutto, le nostre vite incluse. Perché a qualcuno piace così, alle grande fratello che ci osserva e controlla. Perché quando tutto si svolge molto speditamente non c'è tempo per pensare, per riflettere sul senso. Ma c'è qualcun altro che ha ragionato già e ha trovato i sensi che dobbiamo seguire noi. Gli artisti spesso si mettono in funzione di questo concetto. Mi piacerebbe capire se lo fanno a posta anche loro si trovano nella stessa trappola senza accorgersene.

mercoledì, febbraio 08, 2017

Le regole

La risposta a quest'affermazione in Italia è molto spesso del tipo, eh chi se ne frega. Siamo fatti così, poco disciplinati, noncuranti delle regole, specialmente se le dobbiamo rispettare noi. Se qualcun altro lo fa e a noi da fastidio (per esempio vicino di casa che fracassa fino a mezzanotte) chiediamo ad alta voce che siano rispettate. In poche parole, ci piacciono le regole flessibili. Questo è in chiaro contrasto con la parola disciplina che prevede il rispetto dei dettami. Poca disciplina e tanta fantasia per giustificare la mancanza della prima. Così nasce la creatività italiana. Sono le cose che entrano nei geni e a volte danno i risultati straordinari sui vari campi dell'operatività umana; nell'arte, nella tecnica, nei piatti di cucina. Ecco le duo cose opposte che si bilanciano, pertanto la nostra fama nel mondo è duplice, buona e cattiva.

Il fenomeno non rispettoso è diffuso in tutte i porri della società, partendo da un singolo individuo, magari un impiegato della pubblica amministrazione che non sempre timbra da solo, arrivando ai vertici politici dello stato. Il nostro primo ministro ha dichiarato qualche giorno fa che noi rispettiamo le regole (pensava a quelle europee) ma non possiamo accettare che loro rallentino la nostra crescita. Le parole non erano proprio queste, ma il concetto è corretto. Ecco una prova come siamo fatti; siamo molto flessibili e molto bravi a parole. Se gli si faceva notare questa contradizione all'interno di una frase molto breve, né sono sicuro che dava una spiegazione molto creativa, all'italiana. Però...

Però, siamo andati oltre ogni limite. La mancanza di rispetto delle regole ci a portato sull'orlo di una voragine. Spero che nessuno dirà che dovremmo fare un passo in avanti. Un fatto culturale, diventato quasi genetico, e molto difficile curare. Specialmente è difficoltoso sanare una cosa che non è nella tua conoscenza. In effetti noi ancora non siamo riusciti a capire cosa ci a portato al ciglio del crepaccio. La maggior parte di quelli che danno colpa all'Europa e all'euro, pensa veramente così. Ci sono anche quelli che capiscono bene il problema, ma non hanno alcuna convenienza di risolverlo, o almeno di provare. La loro posizione in un sistema ipocrite è buona e invidiabile dalla maggioranza delle persone. Perché allora dovrebbero combattere il sistema che gli ha portato al successo?

Sento la nostra dirigenza lamentarsi per l'austerità imposta dall'Unione Europea. Qui apro una parentesi. Noi siamo parte di quella unione e le regole le abbiamo create e firmate anche noi, perciò è poco corretto (ma conveniente politicamente guardando) parlare in terza persona. Perché è conveniente per loro? Perché ci vuole sempre un nemico verso il quale indirizzare la rabbia delle masse. Un buon nemico, interno o esterno, era uno delle pietre fondamentali dei vari fascismi e comunismi. Noi ne sappiamo qualcosa su entrambi. Il primo lo abbiamo inventato noi e con l'altro abbiamo flirtato cosi tanto che anche esso ci è entrato nei geni.

Quelli politici proprio sfacciati semplicemente danno la colpa all'Europa senza alcuna argomentazione; a gente già piace così. Quelli che vogliono sembrare più seri (non dico che lo sono), provano anche a dare qualche argomentazione. La stretta sulla politica monetaria non ci permette di indebitarsi ulteriormente e noi quel ulteriore debito lo useremmo per rilanciare l'economia e l'occupazione. Cavolo, sei già indebitato fino al collo e vorresti aumentare ulteriormente il debito? Ci potrebbe anche stare, ma la storia ci insegna che i nostri indebitamenti non sono mai stati produttivi. Vedi per esempio i miliardi investiti nelle opere iniziate e mai finite e le spese assistenzialistiche, specialmente al sud. E loro vorrebbero tornare alla lira! La nostra lira è stata sempre una valuta debole. Se non avessimo avuto l'euro 15 anni fa, oggi probabilmente saremmo già da tempo in bancarotta.

Noi che abbiamo un mutuo da restituire sappiamo benissimo quale è la differenza tra un tasso di interesse del 3% e del 7%. Con la lira avremmo quest'ultimo e il debito sarebbe sicuramente oltre 150% del prodotto interno lordo, soltanto per questa ragione. Tenete conto che Renzi, anche con le strette imposte è riuscito a spendere nostri 10 miliardi per comprarsi i voti per le europee. Pensate un po' quanto spenderebbero senza qualcuno che li sorveglia. Vi ricordate nel passato interi paese che hanno votato un certo partito e che tutti erano in pensione, anche a 40 anni di età. Ecco perché noi domani le pensioni forse le vedremmo e forse no, chi sa? Ieri il parlamento ha protetto i debitori del MPS dalla divulgazione dei loro nomi. Ci mettono le mani nelle tasche e noi non abbiamo nemmeno il diritto di sapere a che vanno i nostri soldi. Ho visto ieri che i romeni (va bene anche rumeni) sono riusciti con la loro protesta durata qualche giorno, far cambiare un decreto al governo. Bravi! Ma noi non abbiamo voglia di farlo, ci sta bene così.

Ultimamente si parla molto anche di Donald. Alla maggiore parte non sta bene. Ho sentito un commentatore qualche giorno fa esprimere un giudizio sul provvedimento riguardante il blocco degli immigranti da alcuni paesi musulmani. Diceva più o meno cosi. "Gli devo dare il merito di rispettare le promesse agli elettori in campagna elettorale. Ma in campagna si dice di tutto e io pensavo che lui moderasse le sue azioni." In altre parole, non doveva fare quello che ha promesso, per accontentare quelli che non l'hanno votato. Un ragionamento del tutto italiano. Complimenti!

martedì, luglio 05, 2016

Coraggio

La fortuna segue i coraggiosi, ho sentito dire molte volte le persone più sagge di me. Mi riferisco all'uscita della nostra nazionale di calcio contro la Germania, qualche giorno fa, nei quarti dei Campionati Europei 2016.

Concettualmente condivido i giudizi dati alla nostra squadra. Si è visto impegno, la corsa, il desiderio da vincere e di andare avanti. Mancanza dei fuoriclasse e non proprio altissimo livello tecnico sono stati sostituiti dal collettivo. Il calcio è un gioco collettivo e questa componente è della primissima importanza. Tutti siamo stati testimoni all'impresa dell'Islanda che è arrivata ai quarti proprio grazie al concetto della collettività. Qui vorrei soltanto sottolineare che hanno vinto 2:1 nel secondo tempo contro la Francia. Sui rigori salto le uniche discussioni che si sono aperte. Ne ho visto tanti europei, mondiali e competizioni per i club: tante partite sono finite ai rigori e l'esito era sempre incerto. E' una lotteria, un caso. Ma noi potevamo, forse, vincere prima.

Tono un attimo indietro, alla partita Croazia - Portogallo, svoltasi due giorni prima. La Croazia, per me, era una delle squadre migliori della competizione. La citata partita era una delle più noiose che ho visto. La Croazia non era se stessa. Non si giocava, non si provava nemmeno a fare un'azione ragionata per arrivare al gol. Sembrava che tutti avevano i piedi legati, oppure che gli è stato impostato uno schema tattico troppo prudente che non gli permetteva di osare. Questo se sentiva anche nelle azioni dei singoli che non mostravano nemmeno una parte delle qualità che hanno messo in evidenza nelle partite precedenti. Ed allenatore? Niente! Lui ha diretto la strategia e la tattica, basandosi sugli schemi precedentemente vincenti, ma limitando la libertà dei giocatori. Ha semplicemente trascurato il fatto che il buon gioco mostrato nelle prime partite era il risultato della libertà dei giocatori di lasciare la propria posizione, di giocare una palla diversa di esprimere la propria creatività. Arrivati i supplementari non ha cambiato niente, lasciando gli stessi protagonisti nel campo. Finalmente, ma troppo tardi, 10 minuti prima della fine, ha messo dentro Pjaca. Da quel momento La Croazia è tornata ad essere una grande squadra. In pochi minuti 3 occasioni ed un palo. E, vero, hanno preso un gol, quello risolutivo. Ma se questo succedeva all'inizio, avevano tutti i tempi e tutti i mezzi di risalire.

Ma questo cosa c'entra con l'Italia? E' successa la stessa cosa. Mancanza di coraggio. Paura di cambiare qualcosa perché potrebbe andare peggio. Ma cosa poteva andare peggio? Siamo entrati nei supplementari con Eder e Sturaro che non camminavano più e Conte aveva a disposizione ancora due cambi. La cosa più logica era togliere Eder e mettere Insigne. Quest'ultimo ha giocato poco in precedenza, ma si è distinto particolarmente con l'impegno e la bravura. Credo che molti l'abbiano pensato come me in qui momenti. Alla fine Conte ha fatto questo cambio, ma troppo tardi. Comunque per pochi minuti di presenza, Insigne ha cambiato il volto della nazionale; hanno visto tutti.

Adesso ci piangiamo un po' adesso e malediciamo la mala sorte. Vi ricordate gli anni bui della Germania? Verso gli anni novanta perdevano da tutti. Hanno capito, hanno cambiato le cose e sono tornati tra le più grandi. La federazione ha fatto un po' di provvedimenti. Hanno obbligato i club di lavorare con i giovani e di fargli giocare e hanno limitato il numero degli stranieri nelle squadre della Bundesliga. Non possiamo fare una cosa simile anche noi? Nel nostro campionato vedo tanti stranieri mediocri e sono sicuro che riusciamo a trovare senza problemi i loro pari, ma italiani. E così forse si scopre che qualcuno, avendo una vera occasione, è un po' più di un giocatore mediocre. Forse si scopre anche qualche fuoriclasse che ci manca. Ma non dimentichiamoci del buono di questo campionato: la collettività.



Finalmente è stato svelato il segreto del successo dell'Islanda: che calcia fuori campo deve andare a recuperare la palla.

sabato, ottobre 10, 2015

Un giorno insieme

L'anno che lentamente sta per finire è stato molto caldo. Molti si lamentavano, ma a me il caldo piace. Mi dà una sensazione di libertà; ti vesti poco, sei più vicino allo tuo stato naturale. Siamo in ottobre e il clima è ancora piacevole. Per festeggiare questa estate prolungata ho invitato giovedì scorso la mia consorte per accompagnarmi al mio abituale pranzo. Spesso, diciamo due volte a settimana, vado in un ristorante Giapponese, gestito dai cinesi. Sembra che ultimamente questo tipo di ristoranti crescono come i funghi dopo la pioggia. Fino allo scorso autunno era una trattoria italo cinese che per pranzo offriva il menù italiano, a scelta tra 4 primi, 4 secondi e 7 contorni, ad un prezzo di 7 euro, e si potevano ordinare anche i soliti piatti cinesi ad un prezzo molto contenuto. C'era anche la pizza. A me sembrava che l'affare andasse a gonfie vele; spesso nell'ora del pasto facevo fatica a trovare un posto libero.

Ma loro, gli stessi gestori, cioè cinesi, hanno ristrutturato l'ambiente in stile giapponese ed hanno cambiato il nome. Il menù italiano c'è ancora, allo stesso prezzo, ma la pizza è sparita e il cibo cinese è stato sostituito da quello del Sol Levante con il sistema "all you can eat" a 9 euro. Mia moglie è una grande amante e buona conoscitrice della cucina giapponese; ha provato quasi tutti i ristoranti di Milano. E così volevo che lei desse anche un giudizio su questo "mio". Inoltre, quel giorno aveva nel pomeriggio l'appuntamento dal parrucchiere che si trova in zona e di sera andavamo insieme a teatro. L'invito era anche un'occasione per passare una giornata lavorativa insieme. Ci siamo seduti e quando volevamo ordinare vari sushi, sashimi e maki, la cameriera ci ha informati che non c'era più riso. Maledizione, non è mai successo e doveva capitare proprio quel giorno. Ho protestato un po', ma alla fine ci siamo comunque arrangiati con cibi fatti senza riso: udon yaki (la pasta di riso), sashimi, gamberetti alla griglia, tempura mista e l'inevitabile miso. Il giudizio alla fine era positivo, sottolineando che c'entra anche il prezzo basso, ma sulla tempura il commento era: "non c'entra niente con quella vera".

Ci siamo ritrovati qualche ora dopo in un bar vicino a teatro per un happy hour. Seduti fuori, godevamo del mite clima di ottobre. Con un cocktail ordinato, a quell'ora ti portano anche un taglierino con salumi, mozzarelle e altre cose, tutte molto buone. Dopo un pranzo abbondante, più che sufficiente per una cena leggera prima di immergersi in uno spettacolo teatrale (a stomaco troppo pieno spesso mi viene sonno). Il conto pagato e via allo spettacolo. Ci siamo seduti e ho iniziato a sfogliare il depliant sullo spettacolo al quale tra un po' assisteremo. Non ne sapevo niente tranne che il regista è molto famoso. Si tratta di Robert Wilson e il pezzo era Odyssey, cioè la storia di Ulisse del poema epico di Omero. Particolarità: gli attori sono greci e parlano in greco, quello nuovo, non antico – qui mi cambia poco. Visto che il testo ha un significato in questa storia, c'era un panello digitale dove scorrevano i sopratitoli (il panello si trovava sopra il palcoscenico). "Speriamo bene", mi sono detto prima dell'inizio. Avevamo dei posti abbastanza vicini e un po' sul lato, ed alzando un po' la testa si potevano seguire gli avvenimenti sul palcoscenico e le scritte sul pannello. Questa volta, i posti migliori non erano quelli di prima fila e questo ha spiegato il mio stupore quando ho visto che il posti sulla balconata costano di più rispetto alle prime file.

Robert Wilson è uno di una certa fama, così mi hanno spiegato, anche se io non avevo mai sentito parlare di lui, ma io non sono uno che di teatro non capisce molto. Gli spettacoli, che ogni tanto vado a vedere, o mi piacciono oppure no. E questo mi è piaciuto parecchio. Wilson non è soltanto il regista ma ha curata la scenografia e l'illuminazione. Quest'ultima l'ho trovata stupenda. Molte scene in controluce, con una parete posteriore illuminate, hanno dato tanto patos. Ma anche i dialoghi ed i canti, anche se non si capiva niente, errano molto piacevoli, ritmici, e mi permetto di dire, così li ho sentito almeno io, mantrici. La storia ben conosciuta, raccontata con i salti temporali in un modo diverso, un po' in vecchia maniera, anni 30 un po' stile cartoni animati, con tanti leitmotiv che seguivano i personaggi, alcuni di loro molto simpatici, altri buffi. Una bella giornata passata insieme.

martedì, marzo 24, 2015

La vita è una cipolla

Non sono mai andata in Spagna e non parlo lo spagnolo. I film di Almodovar mi piacciono. Molto. Alcuni di più, altri di meno. Trovo interessanti i suoi personaggi e gli attori che li interpretano. Avendo scarsa memoria, non memorizzo mai i loro nomi, Penelope Cruz a parte. Pochi giorni fa ho saputo che a Milano c'era la prima di uno spettacolo surreale. Alle superiori, ho studiato con interesse tutto il periodo surrealista. Incuriosita, ci sono andata. Non alla prima. Fortunatamente (poi vi spiegherò il perché) allo spettacolo sono andata preparata. Almeno, è così che pensavo. Ho assistito ad una intervista dal vivo della attrice protagonista di questo spettacolo, Rossy De Palma, la quale è un volto noto in tanti film di Pedro Almodovar. Il nome mi era completamente nuovo. Il viso, no.

Un viso talmente particolare che difficilmente viene dimenticato. Mentre aspettavo il suo arrivo sul palco, ho sfogliato la locandina e la sua biografia. Ammetto che sono rimasta stupita quando ho letto che è stata scelta dallo stilista Gautier per una campagna pubblicitaria. Per dirla all'italiana, è diversamente bella, e ha da poco compiuto i cinquanta. Insomma, l'esatto opposto della estetica femminile che siamo abituati a vedere sulle copertine delle più importanti riviste femminili. Ora, non mi intendo di operazioni pubblicitarie e del perché sia stata scelta ma, io sono stata conquistata da questa donna in pochi minuti.

Una intervista durata un'ora. Grande carisma e spontaneità. Non è una donna che rispetta le regole sociali, quelli del "non bisogna dirlo in quanto non si fa". Non le manda a dire. Mentre raccontava la sua prima esperienza cinematografica con Pedro, sul set di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi", è scoppiata a ridere dicendo "Il mio personaggio dormiva tutto il tempo. Che recitazione potevo fare? Ho detto al regista: Fammi fare qualcosa, mi annoio". E' la tipologia di donna che stimo, quella che non ha paura di dire ciò che pensa. Anche quando è davanti a persone di potere.

Qualcuno del pubblico ha tentato di farle dire qualcosa sullo spettacolo ma non c'è stato nulla da fare. "Sto ancora facendo, non riesco a dire niente" sono state le sue uniche parole. Nei giorni successivi alla intervista, che precedevano lo spettacolo, ho cercato di farmi un'idea. Mettendo insieme le parole da lei pronunciate e leggendo la locandina, ero sicura che mi sarebbe piaciuto. Già mi aveva conquistata e ha toccato molti degli argomenti a me cari, come l'essere donna, amarsi, imparare a proteggersi eccetera.

L'inizio dello spettacolo mi ha lasciata perplessa. E' iniziato in spagnolo e come ho detto inizialmente, io non parlo questa lingua. Dopo lo spagnolo, è arrivato il turno dell'inglese, il che è stato del tutto inaspettato. Fortunatamente, conosco la lingua. E così, mentre i minuti passavano, c'era un susseguirsi di scene strane, immagini sullo sfondo (spesso erotiche), Rossy vestita in modo bizzarro con tanto di ventaglio a piuma, una scena in cui sul palco c'erano scarpe, altre volte sostituite dalle cipolle. Milanesi. In fondo, "la vita è una cipolla", diceva l'attrice spagnola.

Ho passato una buona parte della serata a chiedermi dove fossero finiti gli argomenti con i quali ci aveva presentato lo spettacolo oppure, legittimo chiederselo, sono io a non capire niente di arte. Credo che difficilmente mai troverò una risposta a questa domanda. Magari era questo il messaggio che volevano recapitarci, è tutto come una cipolla, ci sono tanti strati, si continua a sbucciare sperando di vedere qualcosa di nuovo ma alla fine non c'è nulla di nuovo. Anzi, non c'è nulla. Per fortuna però che Rossy De Palma c'è. Con la sua bravura, energia e simpatia, è riuscita a farmi passare i novanta minuti in un attimo. E' come nella vita. A volte hai a che fare con quelli che non hanno niente da dire ma che sono in grado di dirlo meravigliosamente.

mercoledì, novembre 05, 2014

La saggezza

Una volta nelle comunità umane esistevano saggi ufficiali, oppure un'assemblea di questi che risolvevano le problematiche della collettività, oppure quelle personali degli individui che ne facevano parte. Erano le persone anziane in quanto la saggezza si raggiunge con l'età avanzata. Non è questione dell'intelligenza che ci è stata donata dalla natura, oppure dal creatore, in dipendenza della credenza e che non aumenta con passare degli anni. La capacità di un giudizio profondo, ragionato e logico è una questione dell'esperienza: più la nostra vita è stata ricca, piena di eventi di vario tipo, riempita anche con tanta istruzione e letture (così si raggiungono anche le esperienze degli altri, aumentando il proprio bagaglio intellettuale), più aumenta la nostra capacità di un giudizio logico e pratico, più siamo saggi.

Ad una che ha vent'anni, con tutta la sua educazione, istruzione e raziocinio, mancano le esperienze per poter essere considerato saggio. Dopo il senno ha anche vari livelli; alcuni possono essere raggiunti anche in una giovane età, mentre per gli altri occorre avere i capelli ben bianchi. Il nostro presidente del consiglio sicuramente non può essere considerato uno saggio in quanto gli manca l'età, ma comunque un poco della vita dovrebbe conoscere. Perciò quando l'ho sentito chiedere al Europa di avere rispetto per l'Italia sono rimasto ancora una volta profondamente deluso dalla personalità che ci sta al capo. Caro mio, il rispetto non si chiede, si guadagna. Questo sanno anche molti diciottenni, ma lui no. Beati noi con un capo di genere. Ma purtroppo. Ce lo meritiamo, perché è uno di noi, un nostro rappresentante, con i nostri geni, nostra cultura.

Qualche giorno fa ero presente ad un corso sulla sicurezza dove il tema era l'amianto. Il docente, uno di Milano ci ha spigato i concetti ed ha fatto anche un importante accenno alla pratica quotidiana. Ha esplicitato il dato che per rimuovere una copertura in eternit e sostituirla con un'altra ci vogliono tra 60 e 70 euro a metro quadrato. Al corso era presente anche l'assessore di un comune di Calabria. SI vantava del fatto che nella sua comunità, il comune sostiene interamente le spese del bonifico e che il costo unitario è pari a 120 euro al quadrato, praticamente doppio rispetto alla Lombardia. Sembra logico: al sud tutto costa di più, gli stipendi sono più elevati. O mi sbaglio?

Ma il proseguimento era ancora più illuminante. Qualcuno ha chiesto come si fa se un vicino di casa ha una tettoia con amianto, che presenta un pericolo anche per il vicinato, e il tizio non vuole sistemare la faccenda. La spiegazione del docente era che si deve fare una denuncia al sindaco del paese. A seguito di questa il sindaco deve ordinare entro qualche mese le misurazioni che confermino o meno la pericolosità della situazione e se il rischio viene confermato, ordina al vicino di sanare la situazione, a spese proprie. Il nostro celebre assessore ha notato che le situazioni di genere sono molto brutte per l'amministrazione. Le sue parole erano queste: "Un voto lo perdi sicuramente, di quello denunciato, e non è detto che prendi il voto di quello che ha posto la denuncia." Ma chi se ne frega della salute della gente; a noi (cioè loro) importa soltanto essere rieletti, ed è quella la prospettiva dalla quale si guardano tutte le vicende. Vi sembra di avere già arrivati a questa conclusione da soli?

Calcio

Per non chiudere questo post in uno stato depressivo, inserisco un video che ho avuto da un amico questi giorni. Mostra le abilità calcistiche del popolo brasiliano, anche se queste ultimamente non sono state confermate al livello mondiale.

giovedì, aprile 10, 2014

Anniversario

Il lavoro inizia a scarseggiare e così mi è venuta voglia di scrivere qualcosa di poetico, che festeggia la fioritura degli alberi ed i profumi che si espandono nell'aria accarezzando i nostri nasi: è il periodo dell'anno più bello, almeno per la mia persona. Per me il senso di olfatto è quello che mi rievoca di più i ricordi e provoca le associazioni, un po' come a Proust, ma mi da anche il senso della pace e dell'appartenenza, a questo mondo, alla natura. Mi riferisco sempre alle piante nella natura, non al cibo che ha un'altra influenza su di me. In effetti scrivo durante la pausa pranzo ed il problema alimentare avevo risolto un qualche minuto fa, pertanto sono a stomaco pieno (un semplice panino con prosciutto crudo ed un'aranciata). Ma insieme con tanti fiori che si vedono in giro c'è anche tanta polline.

Conosco qualche persona che ha dei problemi a proposito, ed anche i media spesso parlano di un'alta percentuale delle persone che hanno delle allergie primaverili, ma io fino a quest'anno non avevo dei fastidi. Adesso ogni tanto mi viene un starnuto, molto più frequente rispetto alla normalità e mi sembra che anche io sto entrando in questo grande gruppo, tanto amato (e sfruttato) dalle industrie farmaceutiche. Tanta gente prende dei medicinali che dovrebbero alleviare la sofferenza, ma sembra che non siano molto efficaci. Parlo in generale, perché due colleghi d'ufficio prendono una cosa prescrittagli dal medico ma dicono che non sentono molta differenza rispetto ad un non trattamento del male. Alla domanda perché continuano a riempire le tasche della gente già ricca, abbassano le spalle.

Pertanto il mio blog quest'anno festeggia il decimo anniversari; il primo post e del dicembre del 2004. Mi dovrò ricordare tra 8 mesi di preparare una piccola torta e di inserire una sua foto. Devo essere sincero che fino ad oggi non ho capito come si possono inserire le fotografie. Devo ringraziare anche il host gratuito che lo ospita e che in tutto questo lungo periodo ha garantito un ottimo servizio ed affidabilità. Da qualche anno hanno introdotto i domini nazionali e pertanto in Italia non si vede più "blogspot.com", come era al inizio, ma blogspot.it". Per veder un dominio desiderato, senza che sia cambiato in quello nazionale in modo automatico, occorre aggiungere alla fine dell'indirizzo "/ncr", per esempio "dopoufficio.blogspot.com/ncr". Questa precisazione per voi, ma anche per me perché spesso dimentico l'estensione da attaccare. Perché hanno introdotto questa novità? Perché i diversi paesi hanno spesso delle regole differenti per quanto riguarda la legittimità del contenuto. In questo modo il gestore sa se può offrire alcuni argomenti o meno agli visitatori dei certi stati.

Torniamo al lavoro. Il lasso di tempo passato era molto impegnativo per me. Sul tavolo un'enormità delle attività da svolgere. Ma come spesso accade, era una parte della sinusoide alta, mentre, come avevo detto all'inizio, adesso sto in quella bassa e i compiti da svolgere sono diminuiti notevolmente. In buona parte questa situazione è dovuta a mal organizzazione dell'azienda per la quale lavoro. Si corre per raggiungere un obiettivo in modo spropositato, prima del tempo prestabilito e spesso con una scarsa qualità del prodotto. Dopo non si fa niente finché i problemi non escono sulla superficie e si inizia a risolverli in modo frenetico. Tradotto, ci stiamo producendo lavoro oda soli, ma quello non pagato dalla committenza, e a volte mi sembra una cosa voluta: così riusciamo a giustificare la nostra presenza. Perché noi siamo sempre sovraccarichi, se si parla con le altre unità organizzative, come sono anche loro. Non c'entra che per la pausa caffè trovi 10 persone davanti alla macchinetta che rimangono là anche per un'ora intera. Sembra il nostro paese in miniatura: tante chiacchiere e pochi fatti.

martedì, novembre 26, 2013

Il cibo veloce o fast food

Spesso il termine fast food viene utilizzato come metafora per degli spuntini informali e piacevoli ma, attenzione, non sempre privi di conseguenze. Anche se questo tipo di alimentazione viene visto come un nutrimento superficiale e poco costoso, bisogna precisare che lo scopo principale consiste nello "adattamento" e quindi privo di particolari pretese. Si sceglie la velocità, praticità e semplicità. Perché alle volte, la velocità nei rapporti interpersonali, come nell'atletica per esempio, non viene vista come un vantaggio e non uno svantaggio? Ovviamente saranno avvantaggiati coloro che sono in grado di sentire il proprio intuito e capire che sono nel posto giusto con la persona giusta. Bisogna essere coraggiosi e inserire la quinta (o sesta) marcia perché, la probabilità che si tratta di una situazione irrepetibile è piuttosto alta. E' interessante constatare che nelle situazioni del genere quelli che risultano essere più inaffidabili e impacciati saranno coloro che aspettano tale occasione da tutta una vita. Sognano di avere qualcosa o qualcuno mandato dalla divina provvidenza. Perché?

A questo punto dobbiamo tornare per un istante indietro, all'esempio della atletica. E' noto il fatto che per prepararsi alla maratona ci vuole molto tempo e impegno. Gli atleti immaginano la loro gara per anni e fisicamente possono anche essere pronti ma è possibile che non raggiungeranno mai il loro obiettivo in quanto già in partenza risultano spaventati. Per quello che sta accadendo oppure per ciò che ancora dovrà accadere. Potrebbero essere impauriti dalla folla presente allo stadio, dalla concorrenza, uccelli in volo, terroristi ma più di ogni altra cosa, dal finale, cioè una possibile vittoria o una sconfitta. Nella vita non si arriva mai, neanche al punto di partenza senza avere saldato prima i propri debiti e senza avere faticato. La fatica a volte è fatta di duri allenamenti fisici, sudore e lacrime, molte cadute o rialzi. Per cui, non ingannate voi stessi, dovete prepararvi il meglio che potete per ciò che vi aspetta.

Cedere con una certa facilità non è sempre sinonimo di debolezza, può diventare un pregio se dall'altra parte trovate qualcuno che vede in voi un avversario equo. Pensate per un istante al sesso senza impegno. Forse non esiste uno scenario migliore di quello privo delle aspettative: venite dalle vite differenti, tutti i bagagli sono lasciati fuori dalla porta e spesso neanche i nomi hanno importanza. Restate soli, accolti da un'oasi di puro piacere in una stanza in cui non si cercano "piatti" elaborati ma il lusso della semplicità. Non si viene giudicati per il proprio aspetto fisico ne tanto meno per le vostre capacità, vogliamo chiamarle tecniche? Non sarete appesantiti dagli obblighi quotidiani o manipolati dall'inarrestabile vortice delle emozioni. Nessuno deciderà quale sarà il punto di partenza e non si potrà di certo prevedere quello di arrivo. Contrariamente a quanto accade nelle competizioni sportive, qui non si cerca il vincitore e non ci sono perdenti, si rispetta l'avversario. E' pensiero diffuso che una relazione dovrebbe iniziare con l'onestà. Spesso però accade che verso un amante occasionale ci si sente più "liberi" e di conseguenza più sinceri.

Davanti a lui o lei non dovrete fingere di essere diversi da quello che realmente siete oppure giustificarvi e difendervi. Nessuno vi accuserà di niente ne si aspetterà da voi la perfezione. E' un po’ come fare una gita fuori porta. Potrà durare un'ora o forse due, un giorno oppure un intero fine settimana. Qualunque sarà la sua durata sarete in una missione segreta, una realtà parallela, in un'unione fatta principalmente di ricerca del piacere, con un compito speciale: purificare il corpo e risvegliare lo spirito. Ma non vi illudete, si tratta sempre di un cibo veloce. Quando vi sentirete sazi, non continuate a leggere la lista del menù, non ordinate nuovamente le stesse pietanze. Attenetevi al seguente: ACCONSENTIRE, CONSUMARE E DIMENTICARE. In nessun caso dovete cadere nella trappola delle aspettative perché la grande bellezza dei cibi veloci è proprio questa: la velocità con cui vengono consumati.

lunedì, giugno 03, 2013

La grande bellezza di Belgrado

Quando ci apprestiamo a visitare una città nelle nostre valige non mancano mai le guide turistiche. Dettagliatamente, ci forniscono informazioni geografiche, storiche, culturali, gastronomiche. Ci dicono come ottimizzare il nostro soggiorno se abbiamo poco tempo a disposizione suggerendoci percorsi da fare ed il tutto risulta nella maggior parte dei casi molto utile per il viaggiatore/turista. Avete mai trovato in una guida, delle pagine dedicate all'atmosfera della città e in particolare al contatto umano? Io no, ma ritengo sia un aspetto fondamentale, perciò non mi soffermerò su ciò che potrete trovare su un giornale/sito qualsiasi, vi parlerò degli abitanti di Belgrado. Una città può essere talmente bella da toglierci il fiato, se però ci troviamo circondati da persone sgarbate, non disponibili ad aiutarci quando perdiamo il nostro senso d'orientamento in un territorio a noi sconosciuto, la bellezza che fino a quel momento abbiamo percepito di quel luogo precipiterà senza alcuna pietà. E' tutto collegato, come in una relazione di coppia, l'uno parla dell'altro e viceversa. Si può essere il migliore o il peggiore biglietto da visita.

Per tutti noi che siamo abituati a vivere nelle città frenetiche dove i rapporti umani sono ridotti al minimo indispensabile, visitare Belgrado può risultare persino terapeutico. Oltre alle meraviglie culturali e il lato indiscutibilmente romantico dovuto alla presenza dei due fiumi da cui la città è circondata, il vero punto di forza sono le persone e la musica. Nonostante si tratta di una metropoli in cui il numero degli abitanti supera i due milioni, indipendentemente dal traffico caotico e i continui rumori dei clacson, si tratta di una capitale da atmosfera rilassante dove tutti sono disposti a fermarsi, bere un caffè e scambiare due parole. Nel corso della mia ultima visita nel cuore dei Balcani più volte ho smarrito la via. Chissà, forse anche io in quei luoghi ancora intatti e genuini avevo cercato come fece a suo tempo Proust, il tempo perduto, fortunatamente trovavo sempre qualcuno pronto a riportarmi a casa, senza dirmi "mi scusi non ho tempo" oppure, correndo, "non so, chieda a quel signore là", sempre con il sorriso sulle labbra erano pronti ad aiutare, non solo i pedoni smarriti ma anche automobilisti con targhe straniere a cui era sfuggito qualche cartello stradale. Mi è capitato di osservare una scena quasi commuovente, il conducente di un tram che si ferma in curva perché vede un uomo in difficoltà.

Una mattina sono andata a vedere una mostra. C'era due uomini anziani. Vestiti in giacca e cravatta, seduti su uno sgabello a discutere di arte. Alla fine della discussione si sono alzati, uno ha preso sotto il braccio l'altro e lentamente si sono allontanati. Non molto tempo dopo sono uscita con un'amica a fare una passeggiata nel quartiere. Al ritorno ci siamo fermate a comprare delle fragole e abbiamo passato delle ore sul suo balcone, al sole, a mangiarle e parlare. Di tutto e di niente, circondate da un silenzio quasi spirituale.

Anche le ore notturne vi sorprenderanno. Per gli amanti della buona cucina e musica è il posto giusto. Si cena e si balla sulle zattere del Danubio dove il divertimento è assicurato. Non prestate troppa attenzione a come siete vestiti perché con molta probabilità a nessuno importerà. La sostanza è di casa, l'apparenza dimora in periferia. I gruppi musicali che si esibiscono sono di altissimo livello, pronti a cimentarsi, tra un sorso di vino e un tiro di sigaretta, in un vasto repertorio che va dalle canzoni di ieri a quelle di oggi. Per chi è dalle parti dell'ex Iugoslavia è più facile riconoscere le melodie e capire i testi ma ogni tanto si può anche sentire un classico di Frank Sinatra che dà un ulteriore tocco di magia alle serate già perfette.

Slavimir Stojanovic, un noto artista di Belgrado nonché proprietario del negozio "Futro", in un'immagine dice che "la vita è una cosa molto seria. Forse dovremo vestirci tutti di nero e non parlare gli uni con gli altri. Per capire meglio noi stessi. Dovremo anche piangere di più, così laveremo i nostri occhi e vedremo meglio", la grande bellezza di noi, di chi ci sta accanto e di Belgrado.

giovedì, gennaio 03, 2013

Una croata a Belgrado – parte 2

Ancora addormentata entrai in macchina dalla quale mi fu offerta una generica e rapida panoramica della città. Spostavo velocemente lo sguardo da un lato all’altro della strada sentendomi di nuovo una bambina di sette anni alla quale avrebbero nuovamente chiesto di ripetere il giuramento della prima elementare. Intorno a me c’erano delle scritte in cirillico, l’alfabeto ufficiale della Serbia, il quale nel sistema scolastico della mia defunta nazione era obbligatorio studiare. Io lo studiai in terza elementare. Da quel momento in poi non ne sentì più parlare. Fino a quella piovosa giornata.


Nel traffico caotico della capitale serba la maggior parte delle macchine mi sembravano uscite da un museo. Notai una golf, la prima costruita dalla Volswagen, un modello in cui per l’ultima volta entrai negli anni ottanta, il giorno in cui un collega di mio nonno mi portò a casa dalla scuola materna. La sua macchina era di colore arancione e io ero seduta sul sedile posteriore. Anche l’architettura non mi lasciò indifferente con i suoi palazzi, alcuni dei quali davvero singolari. Notai un antico edificio con delle particolari finestre. Gli abitanti del posto lo chiamano “televisore”. Ricorda i televisori di una volta. Quelle che dietro erano profonde e davanti sembravano incorniciate.

Al risveglio del giorno dopo rimasi incredula. Mi affacciai alla finestra sotto la quale, sul prato vidi dei signori anziani con due casse di peperoni rossi pronti per essere arrostiti sul fuoco. Tentai di trasmettere la mia incredulità agli altri abitanti della casa in cui dormivo ma non capirono il mio stupore. Per loro era una scena quotidiana. Più tardi, lontano da tutti cominciai a pensare alla cucina. Non c’era niente di male nel preparare una deliziosa salsa piccante a base di peperoni, la quale fa parte della loro tradizione culinaria ma un quadro simile sotto la mia finestra milanese non si potrà mai vedere, perché? Forse per paura di apparire diversi, di farci prendere in giro oppure pensiamo che sarebbe un comportamento inappropriato? Se fosse così chi la stabilito?

Archiviata quella che mi sembrava una scena bizzarra o di altri tempi e bevuto il caffè ero pronta per fare colazione. Già mi immaginavo un dolcetto, quando mi trovai davanti agli occhi una bottiglia di grappa e del prosciutto, il tutto rigorosamente fatto nelle campagne dei dintorni. Provai a protestare ma alla fine decisi di cedere, in fondo rifiutare le loro regole mi sembrava scortese e così non solo mi abituai a tutto questo ma finì per amarlo. A dire il vero sono così tanti anni che mi sveglio con del dolce che non ho mai preso in considerazione di provare il salato. Mi chiedo: la nostra mente è così abituata ad una direzione che proprio non riesce a intravederne un’altra?

I giorni passavano e io scoprivo sempre di più il mio nuovo mondo. Facevo delle passeggiate lungo il Danubio accertandomi di persona della disponibilità delle persone che incontravo. Senza che chiedessi il loro aiuto, vedendomi in difficoltà, mi davano delle utili informazioni turistiche oppure mi aiutavano a ritrovare la strada che erroneamente avevo smarrito. Con una spontaneità disarmante, sempre meno presente nel mondo dal quale provengo.

Nonostante abito in una città che conta due milioni di abitanti circa, a volte è possibile incontrare un viso familiare e così un giorno incontrai un caro conoscente di cui ho sempre amato il senso dell’umorismo e l’intelligenza. Felici del nostro incontro decidemmo di pranzare insieme. Arrivati al dolce, mi disse: “Vedi, in questa città ognuno recita un ruolo, peccato non si siano resi conto che è sempre lo stesso” e rise.

Ultimamente si sente spesso parlare degli effetti della chirurgia estetica che porta sempre di più all’omologazione. E se anche la nostra interiorità fosse invasa da un bravo chirurgo che nel corso degli anni tenta di renderci sempre più simili fra di noi? Come direbbe Laura Kipnis, una nota sociologa americana: titolari di passaporto, prigionieri di noi stessi.

Nel 1941, il filosofo tedesco, Erich Fromm, nel suo saggio, “Fuga dalla libertà” ha scritto: “Rinunciare alla spontaneità e all’individualità significa soffocare la vita”. Siamo davvero disposti ad arrivare a questo?

Le persone che mi conoscono bene sanno quanto amo nei miei viaggi vivere la comunità locale. Mi piace gironzolare nei supermercati per vedere i loro prodotti, visitare mercati, mangiare nelle trattorie tipiche del luogo e usare i mezzi pubblici. Proprio loro. La strada che percorrevo quasi quotidianamente era sufficientemente lunga da darmi il tempo di osservare le persone. Oltre ad un sistema di obliterazione dei biglietti altamente tecnologico e funzionale, con mio grande piacere e dispiacere allo stesso tempo, notai una scena che non vedevo da anni. Ad una fermata entrò sull’autobus una signora anziana alla quale, immediatamente, un ragazzino, avrà avuto dieci anni, cedette il posto. Un bell’esempio di educazione e rispetto.

Il fatto che una nazione sia economicamente più debole la rende più portata a mantenere quei valori che una volta ci venivano insegnati? E ancora, il benessere da cui noi siamo circondati ci ha resi paradossalmente più poveri, opportunisti e privi di valori? Le mie serate serbe non erano all’insegna dei locali chiassosi e della musica ad alto volume. Erano caratterizzate dalla socializzazione, un concetto che a primo impatto può sembrare banale ma pensateci bene, quando è stata l’ultima volta che avete veramente ascoltato una persona a voi cara?

Passavo le mie serate seduta sulla poltrona, avvolta da una calda coperta e dal silenzio dell’ambiente esterno, interrotto soltanto occasionalmente dal miagolio dei gatti. Per un istante mi era sembrato di stare lontano dalla civiltà. Il televisore era spento e la mia attenzione pienamente rivolta verso i vari argomenti che spaziavano da quelli leggeri a quelli profondi. Parlavamo in modo costruttivo senza che, come spesso accade, qualcuno dei presenti cercasse di dominare o di imporre la propria opinione. Ognuno di noi aveva uno spazio in cui esprimersi ed essere ascoltato.

Non molto tempo fa ero in macchina con due amiche. Parlavamo delle relazioni. Per quasi tutto il viaggio ci sembrava di trovarci su delle posizioni differenti e in completo disaccordo. Essendo delle degne rappresentanti di questa epoca moderna o post-moderna, come è stata definita dai sociologi, mentre parlavamo, in contemporanea ci dedicavamo alle altre attività, quali rispondere ad una importantissima chiamata oppure leggere un comunicato virtuale al quale non potevamo proprio rinunciare. Risultato? Tutte e tre in realtà esprimevamo lo stesso concetto con parole diverse ma eravamo talmente distratte che non ci siamo accorte, rischiando di discutere e rovinarci la giornata.

Conosco addirittura una persona la quale era così impegnata nelle varie comunicazioni in contemporanea che, una volta uscita dal supermercato a posto di prendere il guinzaglio del suo cane, erroneamente ha afferrato quello di un altro portandosi appresso per un tratto di strada un cane non suo. Quando mi ha raccontato questo episodio, si è giustificata dicendomi che i due cani erano quasi identici. Il più delle volte pur non conoscendo nulla o quasi di alcune nazioni, le classifichiamo come appartenenti al terzo mondo. Spesso proviamo dispiacere per i loro abitanti, i quali non possiedono dei vestiti firmati, macchine di lusso, non hanno le possibilità economiche per fare dei viaggi oppure andare nei ristoranti. E se dopotutto è la nostra cultura quella per cui dobbiamo provare il vero dispiacere?

Il mondo è un esame, senza il quale non saremo in grado di stabilire se siamo capaci di elevarci alle esperienze dirette. Anche la nostra vista è fondamentale, per vedere se sappiamo guardare oltre. La materia, essa ci serve per esplorare la curiosità ma è il dubbio il nostro principale alleato. Necessario per misurare la vitalità.

lunedì, novembre 26, 2012

Una croata a Belgrado – parte 1

Appartengo alla classe del 1979 e ad una generazione diventata, nel corso degli anni, orfana della propria nazione. Ma non è stato sempre così. Uno dei miei primi ricordi risale al periodo scolastico e ad una fotografia, quella di Tito, in uniforme e sorridente, che ci guardava dal muro della nostra aula, in cui, anche se bambini ci sentivamo adulti. Le maestre, oltre a insegnarci nozioni base per la nostra vita futura, ci trasmettevano il senso di importanza del nostro paese. Ci parlavano della Jugoslavia, era questo il suo nome, della sua grandezza, dei suoi valori e del senso di comunità.

Presto iniziarono i preparativi per una delle cerimonie più importanti nella vita di un bambino jugoslavo: diventare “pioniere”. Si trattava del primo dei tre passi, tipico dei paesi comunisti, per diventare a tutti gli effetti parte integrante del sistema politico e sociale. Il significato reale di tutto ciò era molto più complesso ma noi bambini vedevamo soltanto le nostre danze di gruppo, canti, divise bianche, blu, rosse e la cosa più importante di tutte: il giuramento. Con esso davamo la nostra parola che ci saremo impegnati nello studio, che avremo rispettato i genitori e le persone più anziane. Parlavamo anche dell’amicizia, promettendo di essere dei buoni amici, leali e fedeli, di amare il nostro paese e diffondere la fratellanza e le idee per cui Tito aveva combattuto. Concludevamo allargando le nostre parole all’umanità e a tutti quelli che volevano la pace e la libertà. Abbiamo giurato che li avremo stimati e rispettati.

Erano gli anni della spensieratezza infantile, del senso di sicurezza che ci veniva offerto giorno dopo giorno e dell’innocenza. Poi, nella mia vita ci fu un drastico cambiamento: il trasloco, non uno qualsiasi in cui si cambia via oppure quartiere. Nel 1991 cambiai nazione e mi trovai di fronte a dei nuovi usi e costumi, davanti ad una nuova cultura, quella occidentale. All’epoca ero un’adolescente ed il mio mondo, i miei problemi erano più importanti di qualsiasi evento, persino di una guerra.

Anche se i giornali e i telegiornali non facevano parte della mia quotidianità, non potevo non venire a conoscenza di quello che stava accadendo nella mia terra di origine. All’improvviso mi trovai di fronte ad uno stato del tutto nuovo in cui il nostro senso di comunità si era drasticamente ridimensionato. Non c’era più il senso di fratellanza che ha lasciato spazio ad una netta distinzione tra chi era serbo e croato, cattolico oppure ortodosso. Noi croati diventammo “ustascia” per i serbi e loro, per noi diventarono “cetnici”.

Un aspetto che apparteneva ai paesi comunisti era la laicità. A scuola, non ci avevano mai parlato di Dio ma nel giro di poco tempo la religione a cui apparteneva la propria famiglia diventò di fondamentale importanza, tanto che le chiese assunsero un importante ruolo. Negli occhi degli adulti mi sembrava che lo stupore fosse minore, le parole: “Era inevitabile dopo la morte di Tito” davano una sorta di alibi e accettazione a tutto ciò che accadeva. A volte rientravo nella mia città natale. Rimasi stupita dalla improvvisa presenza di Dio nelle loro vite e dall’accentuato nazionalismo di cui erano diventati vittime.

Una sera andai a trovare la mia amica di infanzia. Sua madre, una volta, mia maestra delle elementari, mi aprì la porta e felice di vedermi si avvicinò per darmi un bacio. Al secondo bacio si fermò ma io, avendo oramai assorbito le usanze occidentali, feci l’errore di dargliene uno terzo, al che si arrabbiò e mi disse che così baciavano i serbi. In quella stessa settimana, un ragazzo mi chiese di uscire. Mi portò alla messa di Natale che nessuno dei due fino a quel momento aveva festeggiato e così per la prima volta entrai in una chiesa dove mi resi conto della velocità con cui noi croati abbiamo rispolverato la nostra spiritualità, rimasta in ombra per tutto il periodo di Tito. Quanto a me, il processo di trasformazione non ebbe successo, rimasi quella che ero: croata da parte del padre e serba da parte della madre, senza una presenza divina a mio fianco.

Qualche anno dopo, la guerra in Croazia finì. Le vicende politiche passarono in secondo piano e la vita riprese il suo naturale corso. I miei amici croati iniziarono ad esplorare la loro nuova identità fatta di nuove idee politiche e di espansione verso l’Occidente. Era il 1996, l’anno che segnò la storia grazie alla nascita di Internet. Non molto tempo dopo volai negli Stati Uniti dove rimasi per un’intera estate. In un certo senso avevo visto il mondo e guardato le varie culture, senza però vederle per davvero. Per farlo, impiegai anni. La mia vita americana si concluse e tornai in Europa, circondata dal benessere e dalle numerose opportunità. Lentamente mi amalgamai alla società che avevo intorno, accettando le sue regole. Senza farmi troppe domande.

Quando ero bambina passavo le estati nella nostra casa di montagna. Insieme ai nonni che cercavano di assecondare ogni mio desiderio. Uno di questi fu la bicicletta. In poco tempo diventò una parte di me. Ovunque stavo io, c’era anche lei o quasi. Mi vietarono di trasportarla in macchina quando andavamo a fare visita a numerosi parenti presenti nello stesso luogo. La domenica era in assoluto la mia giornata peggiore. Alle tredici in punto il pranzo veniva servito a casa del fratello di mia nonna. C’erano anche degli altri bambini con i quali non mi interessava socializzare, volevo soltanto guidare la mia bicicletta. Per accorciare quel tempo infinito, sgattaiolavo dall’uscita posteriore della casa e salivo sul prato dove mio cugino dipingeva. Ci sedevamo entrambi sotto un albero che ci riparava dal sole. Lui, sullo sgabello. Io, sull’erba. Passavo tutto il pomeriggio a guardare la sua tela, tenevo i pennelli, colori, strofinacci bianchi e portavo delle fresche bevande che ci aiutavano a sopportare il caldo di agosto. Non ero certo contenta di alzarmi in continuazione per andare in cucina ma ero piccola e lui mi sembrava autoritario, perciò obbedivo senza protestare. Da quel episodio sono passati tantissimi anni, per entrambi e la vita ci ha separati. Non dimenticatevi l’inizio di questa storia, in cui vi ho parlato della guerra.

Venti anni più tardi, una volta adulti, ci siamo rivisti e realmente conosciuti. Nell’arco di una estate abbiamo percorso gli anni che ci sono mancati, di nuovo sul prato, in una cucina, nella macchina e davanti al mare. Lui ha continuato a dipingere e ha deciso di condividere il suo mondo interiore organizzando la sua prima mostra indipendente. Ho preso un aereo e sono volata fino a Belgrado, dove, ho cominciato a farmi delle domande.

Negli ultimi anni i rapporti fra la Serbia e la Croazia sono migliorati. Le spiagge della Dalmazia, per esempio sono frequentate dai turisti serbi e Belgrado, soprannominata la città della musica, è diventata una meta molto amata dai croati, soprattutto per la sua vita notturna, la quale è stata anche inserita da una famosa guida turistica fra le dieci capitali mondiali del divertimento. Arrivai in una grigia e piovosa mattina di metà ottobre, ignara del mondo in cui stavo per entrare.
La frase: “questa era la capitale dello stato in cui sei nata” mi diede il benvenuto. Come cittadina croata con il suo inequivocabile accento non sapevo cosa aspettarmi dagli abitanti di questa città bianca (traduzione letteraria di Beograd, il nome serbo di Belgrado) ma mi accorsi che al mio modo di parlare nessuno ci faceva caso, a differenza di quello che accade in Croazia dove l’accento serbo, non passa del tutto inosservato.

venerdì, maggio 04, 2012

Ambiente

Ieri sono tornato dall’ufficio un po’ prima del solito, verso le cinque e mezza. In effetti ero fuori città per lavoro e non avevo voglio di rientrare in quel posto dove c’è il capo e tutti i colleghi pettegoli e poco simpatici. Così dritto a casa. L’entrata nella cucina era triste: qualche giorno fa sono ceduti i pensili. Meno male che sono rimasti appesi e non sono caduti. Mi toccava toglierli tutti e adesso aspetto la cucina nuova che dovrebbe arrivare alla fine del giugno. Avevo preso la birra dal frigo e sono andato al soggiorno a mettermi in poltrona davanti al televisore acceso. Sfogliati i canali principali, la mia attenzione è stata attirata da una trasmissione che parlava dell’ambiente, o meglio del suo inquinamento. Non sono uno che da troppa importanza all’argomento , ma quello che ho visto mia ha sconvolto in un certo senso e mi ha lasciato un’impronta forte.

Hanno fatto vedere alcuni esempi di inquinamento dei quali il più clamoroso è quello dell’oceano Pacifico. Là, nella zona del arcipelago hawaiano, c’è un’area enorme, di qualche centinaia di chilometri quadri, dove sotto la superficie dell’acqua galleggiano migliaia di centinai di resti in plastica, spesso molto sbriciolati. La percentuale di questa materia artificiale, non presente nella natura, supera più volte la percentuale del plancton oceanico. Molti degli abitanti dell’oceano ingoiano questa plastica insieme con i plancton. Alcuni muoiono a lungo termine ed alcuni nel frattempo finiscono sui nostri piatti, facendoci pagare direttamente in salute il danno che stiamo provocando. Son rimasto allibiti dalle immagini mostrate. Questa è l’area più grande del mondo, ma dicono che negli altri oceani sono presenti altre tre, tutte tenute ferme dalla circolazione delle correnti oceaniche.

Un altro servizio mostrava una città cinese, non mi ricordo il nome, verso sud-est del paese, sulla costa del mare Giallo. La finisce quasi tutta la roba informatica dismessa, da tutto il mondo. I computer, i monitor, le tastiere; disassemblano tutto per riciclaggio, dividendo le parti in plastica, da quelle in metallo e recuperano anche i materiali pregiati che si trovano nei circuiti stampati. Una città di un milione di abitanti, dove oltre un quarto della cittadinanza lavora nel campo del riciclaggio. Ed è tutto illegale in quanto le leggi internazionali, non firmate dagli Stati Uniti e dal Giappone, vietano trasferimento di questo tipo di rifiuti all’estero. Lo vieta anche la legge cinese, cioè l’importazione, ma visto che la Cina prende un sacco di soldi di quest’attività, i funzionari statali semplicemente chiudono gli occhi e non vedono i container pieni dei rifiuti informatici. Per chiudere meglio gli occhi, appena si apre un container si vede un mazzo di dollari.

Ragazzi, un disastro totale e qui c’è poco da fare; è tutto dovuto allo sfrenato consumismo, incalzato anche da tutti i governi. Vi ricordate la pubblicità quando uno esce dal negozio con la spesa e gli si avvicina uno dicendogli: grazie, stai aiutando l’economia del paese. Ma la quantità dei rifiuti che produce la nostra civiltà e davvero enorme e direi che prima o puoi diventerà insopportabile. In Italia abbiamo già avuto qualche assaggio a Napoli.

mercoledì, gennaio 25, 2012

Stufo

Oggi è una giornata no, per quanto riguarda l'ufficio. Sono arrivato come al solito, verso le 9 e tutti hanno cominciato a rompere: mi fai questo, ma perché non hai creato quello, guarda che la procedura che hai fatto è migliorabile. Ma anche tu sei migliorabile: con due ritocchi le tue tette che arrivano fino allo stomaco si potrebbero facilmente raddrizzare e del culo non ne parliamo neppure. Ma fattemi piacere, lasciate mi in pace astrale, con il mio secondo corpo che inizia ad avere un po' di fame. Vado a mangiare e dopo vi racconto tutto. So che non vi importa un fico secco, ma mi sentirò meglio io dopo aver confidato i miei pensieri ad un pezzo di carta, potenzialmente con alta diffusione ma pochi interessati.

Il pranzo è andato bene ed il mio stomaco non brontola più. E' per questo che anche la mia anima è più gioiosa? Merito anche di una splendida giornata solare e nemmeno tanto fredda come quelle precedenti. Allora ho mangiato una buona pizza margherita e una birra piccola. Mi andava anche quella grande ma in quel caso il prezzo del pranzo supera il valore del mio buono pasto. Visto che siamo in piena crisi economica, occorre fare degli sacrifici e risparmiare, e io sono un buon cittadino e rispetto quello che si aspetta da me. Dimenticavo, ho preso anche il caffè (era un po’ freddo e mi è scappato troppo zucchero) e così dovevo aggiungere 30 centesimi in contanti (non mi da il resto del buono). Dopo sono entrato in un bar per comprarmi le sigarette (in questo modo sostengo ancora lo stato pagando delle tasse aggiuntive) e ho incontrato un collega che faceva fuori un grappino: ci vuole un digestivo dopo l'alimentazione, sostiene lui. Anche io sono d’accordo, ma forse è meglio fuori gli orari dell’ufficio.

Santa pazienza. Ieri ho visto la partita di Coppa – niente male per questa competizione, ma non me ne fregava più di tanto delle squadre che giocavano. La Juve una volta mi stava molto sul wurstel ma da quando è andato via Moggi non mi danno fastidio. Ma stasera c'è Napoli - Inter. Sono milanista io e per definizione dovrei tifare Napoli, ma sono anche leghista e non so che sosterrò: magari potessi tifare contro entrambi, ma non ha senso.


Crociera



Mai stato in una crociera. L'anno scorso dovevo andare a farla sul Nilo ma sono successe delle cose in Egitto ed era meglio non tirare il diavolo per la coda. Ma quella era molto diversa rispetto a quello che si intende quando si dice "crociera". Quella con 5000 persone al bordo, una città che si sposta via mare nelle altre città. Mia moglie si rifiutava di fare una cosa di genere perché, secondo lei, è una cosa degenerata, per vecchi e coglioni. Io volevo almeno provare (stop meglio in tutti i posti che si trovano fuori dalla mia stanza aziendale). Ma si è visto ultimi giorni che le navi non sono quelle di una volta, oppure sarebbe meglio riferirsi al capitano (non è quello della Findus), e io ho abbracciato, con la piena convinzione, il pensiero di mia moglie, per motivi un po' diversi, ma è importante che siamo in sintonia.

mercoledì, ottobre 26, 2011

Kart

Lavorare in ufficio è molto comodo; non soffri ne caldo ne freddo, anche se piove sei all'asciutto e te ne freghi. C'è la macchinetta per il caffè, ma anche con le bibite e addirittura, se ti viene un po' di fame ci sono anche le merendine. Ma stare seduti tutti i giorni, guardando per 8 ore nel monitor del computer non è il massimo per la salute. Soffre la schiena, i muscoli atrofizzano (la cosa più pesante che sposti è il tuo topo) e gli occhi cominciano a fare male, si stancano velocemente e ti servono anche gli occhiali. Perciò dopo l'ufficio ci vuole un po' di ricreazione, per mettere in salvo anche il corpo. Si va a palestra, a correre e robe di genere, che a me personalmente non piacciono. Non trovo per niente divertente correre, senza essere costretto a farlo, sulla strada u sul tapirulan, o come alcuni lo chiamano tapis. Sento troppa fatica, ci penso come mi fanno male le gambe e sento che il respiro ogni passo diventa più corto. Ma un po' di attività fisica ci vuole, su questo non ci sono dei dubbi.

L'unico modo per me per costringermi a muovermi è di trovare un piacere nel movimento e questo lo trovo quando gioco. Così la mia attività fisica principale è una partita di calcetto la domenica mattina. Là corro dietro la palla o dietro l'avversario, che succede più spesso visto che gioco primariamente in difesa, e sono concentrato su gioco e non penso alla fatica, allo sforzo che sto compiendo. Per essere sincero, la sento il giorno dopo. Le gambe fanno un po' male, ma dopo ogni partita la condizione fisica cresce e il dolore diminuisce. E in questo modo vado da anni, ma ultimamente ho scoperto un altro modo, più per divertirmi che per ricrearmi. Il kart.

La settimana scorsa un mio partner di lavoro ha organizzato una gara per i suoi collaboratori, noi 4. In effetti eravamo in 6, ma due non hanno gareggiato perché non si sentivano molto bene. Tutta la pista del kartodromo di Buccinasco per noi. Una qualifica di 11 giri e due gare, sempre di 11 giri. Era la mia seconda volta di guidare un mezzo di genere, una specie di giocatolo a prima vista; in effetti permette di giocare e di divertirsi. Prima volta su una pista outdoor a Jesolo, l'anno scorso. Eravamo in 8 e due volte sono arrivato ultimo, superato di due giri quasi da tutti; che delusione. Ma questa volta mi sono preparato. Ho visitato vari forum sul tema cercando di recuperare la mancanza di esperienza con un po' di istruzione avanzata.

Ci hanno dato le tute ed i caschi e ci hanno assegnato le macchinette. A me ha toccato un piccolo bolide con il numero 34. E siamo partiti. La pista è in cemento lisciato, molto diversa rispetto a quella outdoor che era in asfalto. Ho cercato di rispettare il principale consiglio trovato in rete: non guidare in derapata in quanto poco efficiente – i tempi a giro notevolmente crescono. E ho avuto conferma di questo. I primi giri non potevo aiutarmi e il kart sbandava dappertutto; troppo divertente per non farlo. Ma sula pista c'è il semaforo che mostra i tempi e me ne sono accorto che sono 5 secondi più lento rispetto ai miei avversari ed il mio orgoglio e prevalso sull'adrenalina e ho iniziato abbassare notevolmente i tempi ed il distacco da quelli che mi precedevano.

Allora, come è andata alla fine. Nella qualifica ero ultimo, nella prima gara sono arrivato il quarto (di noi quattro) e nella seconda sono riuscito a conservare lo stesso posto. Non ero proprio contento, ma qualche spunto per una moderata soddisfazione l'ho trovato. Non mi hanno mai doppiato e già questo era un notevole progresso rispetto all'anno precedente. Inoltre ho migliorato tra la prima e la seconda gara: ho diminuito il distacco dal primo da 40 al 30 secondi, praticamente sono riuscito a recuperare un secondo a giro. Modestamente contento, sperando in un miglioramento nel futuro. Visto che ho iniziato il post con le questione fisiche, devo dire che giorno dopo mi facevano male le braccia e la schiena.

domenica, maggio 22, 2011

Amsterdam

Sono uscito dall’ufficio un po’ prima del solito, verso le 3 di pomeriggio, prendendo qualche ora di recupero e ho preso il treno per Malpensa. Alle 9 di sera ero già ad Amsterdam; il mondo oggi è diventato piccolo e ci si arriva dappertutto in poche ore. Una volta si andava 2 giorni con il treno a vapore, dopo 4 giorni a cavallo e ultimo tratto a piedi. Ho affittato un appartamento in una tipica casa olandese, all’ultimo piano. Fokko, il proprietario, mi ha dato le chiavi e ha chiesto di lasciarle nella serratura quando me ne sarei andato via. Ovviamente, ha riscosso anche i soldi per l’affitto, 140 euro a notte. Un po’ caruccio, ma l’appartamento era molto bello, disegnato da un architetto, con 4 posti luce, le piastrelle di grande formato, la cucina a vista, il televisore ed un piccolo ma potente stereo che leggeva anche la chiavetta USB con gli MP3.

La prima sera ho deciso di non sforzarmi molto e così ho girato un nei dintorni e ho cenato in un ristorante Spagnolo. Avevo ancora le due serate ha disposizione e non volevo sparare tutte le cartucce già all’arrivo. Ho girato per due giorni su e giù, prevalentemente a piedi; il centro non è molto grande e da una parte ad altra ci si arriva in una trentina di minuti. Ne ho viste delle città d’Europa ed anche qualche di mondo, ma l’Amsterdam la trovo una delle più affascinanti. Numerosissimi canali e tanto verde, pochissimo traffico in quanto si va prevalentemente in bici (state attenti, i biciclisti sono più pericolosi degli automobilisti), l’architettura molto diversa di quello che troviamo in Italia, le vetrine con le prostitute, gli spettacoli di tutti i generi, i coffe shop dove uno si può tranqillamente fumare una sigaretta con l’erba, oppure qualcos’altro ed anche negozi dove ti vendono le cose che ti fanno fare dei viaggi con la testa. Non so se c’è qualche altro posto così bello e così anche diverso, con le cose che non si trovano negli altri posti.

Ovviamente ho visitato dettagliatamente la zona a luci rosse, con le ragazze molto carine nelle vetrine. Basta bussare, concordare il prezzo e la tenda sulla vetrina si chiude; l’azione è in corso. Ci sono anche le vetrine con le due ragazze e mi sembra che erano più gettonate dalle altre. Sulla periferia della zona ci sono anche le vetrine con la roba scadente, le nere e sudamericane vecchie e grasse. Sicuramente costano di meno e probabilmente c’è anche la clientela che va la non soltanto per risparmiare. Dopo aver passato un’oretta là, a uno viene voglia di vedere anche un po’ di azione e cosi sono finito in una Casa Rosso, una catena dei teatri (gli ho visti tanti) dove pagando tra 25 e 45 euro, dipende se si includono le bevande o meno, si può guardare lo strip-tease ed anche alla fine dello spettacolo un vero e proprio sesso dal vivo. Gli strip-tease erano molto carini e divertenti e le ragazze belle, brave ed eccitanti, mentre il live sex era un po’ tecnico: gli attori, ovviamente una femmina ed un maschio si giravo per far vedere meglio i dettagli al pubblico disposto su tre lati. Ma visto che prima volta partecipavo ad uno spettacolo hard dal vivo, non sono per niente rimasto deluso. Decisamente un bel modo per passare il tempo dopo ufficio.

lunedì, novembre 08, 2010

Due Barzellette

Le due barzellette che seguono non mi sono state inviate dagli amici via e-mail in ufficio, come di solito accade, ma le ho sentite raccontare da un collega che né conosce veramente tante, durante una pausa caffè. Penso possa andare comunque bene in quanto fanno ridere, almeno a me.


Un topo affamato


Parlano due conoscenti:
- Ho un grande problema a casa mia. Da un po’ di tempo si è insediato un topo e non riesco in nessun modo a cacarlo via.
- Ma che problema c’è? Metti una trappola per topi e lo sistemi in due, tre giorni.
- Non ho una trappola.
- Te la presto io. Basta che metti un po’ di formaggio dentro ed è fatta.
- Non ho formaggio a casa.
- Puoi mettere un po’ di pane inumidito con un poco d’oli. Comunque dovrebbe funzionare.
- Non ho nemmeno olio.
- Va be’, puoi provare mettendo soltanto un pezzettino di pane.
- Non ho neanche pane.
- Ma mi spieghi una cosa: ma che cosa fa il topo a casa tua?

Un giudice distratto


Venerdì sera, un giudice, dopo una dura giornata di lavoro, finisce in un bar e fa qualche cocktail in più di quello che poteva sopportare. Uscendo fori dal bar ubriaco fradicio, si ferma davanti ad una casa e vomita tutto il contenuto dello stomaco. Visto che non riusciva a controllarsi, un bel po’ di roba gli finisce anche sull’abito. Arrivando a casa, doveva inventare una storia per la moglie:

- Sai, mi è vomitato addosso un ubriacone che usciva dal bar. L’ho fatto subito arrestare e prima cosa che faccio lunedì al rientro in ufficio è di dargli 30 giorni di galera. Così impara a comportarsi decentemente e non infortunare la gente.

Lunedì mattina, la moglie prepara il giudice per andare al lavoro e gli dice:

- Ti ho pulito l’abito, ma io se fossi al posto tuo, a quel ubriacone darei 60 giorni di galera: ha fatto anche il popò nei tuoi pantaloni.

mercoledì, settembre 01, 2010

Sui matrimoni gay

Ogni tanto mi viene qualche pensierino, la riflessione sulle certe cose quotidiane, quelle dalle quali si parla con gli amici, che si trovano nei giornali , vedono nelle notizie o trasmissioni televisive oppure si per caso, o meno, imbatte su internet. Oggi ho trovato un post su un blog dove tutti erano favorevoli agli matrimoni gay e così io vorrei dire anche la mia.

Dal mio punto di vista su questo tema c’è un grande confusione, nessuno ragione e tutti seguono il cuore, confondendo spesso le cose della cultura, della società e della natura. Per difendere la propria vita l’uomo si è organizzato nella società rinunciando ad alcune libertà, di uccidere liberamente per esempio: suona bruttale, ma nella natura i conflitti si risolvono così, chi è più forte vince ed avanza nella gerarchia dell’evoluzione. L’ha fatto per acquisire alcuni diritti, sempre per esempio per avere la propria vita protetta dalle istituzioni (milizia, armata) che ha fondato.

La famiglia come la conosciamo è un’organizzazione societaria abbastanza naturale: il maschio e la femmina si riproducono, allevano i piccoli e stando insieme si dividono i compiti di procurare i beni necessario per sopravvivere e dare la protezione ai componenti della famiglia. E cosi, da tempi il termine matrimonio significa una famiglia legalizzata, con alcune agevolazioni per essere stimolata per riprodursi e mandare avanti la razza umana. In effetti, la risposta alla domanda che molti si pongono, “Ma quale è lo scopo della nostra vita su questa terra”, è molto semplice: la riproduzione della specie. Non siamo importanti noi (ovviamente, per noi stessi sì), ma è la razza e la sua forza di andare avanti, di adattarsi ai cambiamenti.

Una coppia gay non ha la principale prerogativa per formare una famiglia, cioè non può riprodursi, pertanto è comprensibile il fatto che il subconscio delle molte persone semplicemente rifiuta l’idea che possa essere legalizzato un legame omosessuale come un tradizionale matrimonio, come tra l’altro anche tutte le organizzazioni religiose.

Non sarebbe meglio per vedere quali i diritti si vogliono e vedere se gli stessi possono essere raggiunti in un altro modo, apportando qualche modifica o integrazione legislativa. Penso che lo scopo delle copie gay sia di vivere bene (a volte mi sembra che c’è qualche altro motivo dietro le manifestazioni e proteste) e non di entrare nel modo forzato nel campo della famiglia naturale. Già il matrimonio all’italiana è un bel pasticcio e sarebbe meglio di evitare un altro.

martedì, giugno 01, 2010

Telegiornale

Ieri sera sono tornato stanco dall’ufficio e cosi mi sono messo a vedere il TG3 alle 19:00. Non è la mia abitudine guardare telegiornali e leggere i quotidiani. Da una decina d’anni che lo faccio raramente perché ho scoperto di sentirmi meglio se non so cosa sta combinando la gente su, ma anche quelli giù, specialmente quelli in alto che abbiamo scelto noi cittadini per essere rappresentati da loro. Dovrebbero essere più intelligenti, più capaci e più onesti di me, ma mi sa che non sia sempre così.

Torno sul TG3. La prima notizia attacco israeliano sulla nave che portava i soccorsi. Una brutta faccenda, condannata quasi da tutti e io mi unisco, ma un telegiornale deve dare prima di tutto le informazioni, perché se loro scelgono quale dare e quale nascondere vuol dire che manipolano la gente, indirizzano loro sentimenti ed i loro pensieri in una certa direzione, in questo caso fanno una indottrinazione comunista. Su tutti gli altri giornali, sia di Rai che di Mediaset, hanno fatto vedere la dichiarazione del ministro della difesa israeliano che sosteneva che i pacifisti hanno attaccato per primi e che erano armati. Adesso esagero per spiegare meglio il concetto: ammazzare 10 persone è molto spiacevole, ma se quelle dieci persone sono terroristi, forse lo è un po’ meno; siamo realisti e guardiamo la verità negli occhi.

Non voglio sostenere assolutamente che i pacifisti erano armati ed erano terroristi, ma è assolutamente dare un’informazione completa, senza nascondere le cose e quelli del TG3 hanno nascosto una potenziale verità. Vergogna, e quella gente la pago io, con le mie tasse. Visto che siamo su questo spiacevole argomento, cioè le tasse, nella stessa trasmissione c’era anche Draghi, il governatore della Banca d’Italia. Ha dichiarato che l’evasione delle tasse è una macelleria sociale, cioè tradotto, che la gente sta male perche ci sono tanti evadono.

Mi sembra che quella gente in alto, che dovrebbe essere la crema della società, suona tutta lo stesso strumento. Mica voglio difendere gli evasori, ma il macellaio è lo stato che prende quello che gli serve e spreca, spende senza controllo, ruba tramite i propri servitori. A casa mia prima si pulisce dalla propria porta e dopo si va dal vicine per chiedergli che pulisca anche lui davanti alla sue, per rispetto del decoro pubblico.

E la manovra finanziaria in se è la solita roba all’italiana, senza un minimo di coraggio, di tagliare le enorme spese del tutto ingiustificate della sanità del sud e delle regioni a statuto speciale: la c’è ancora gente che va in pensione a 40 anni, intendiamoci della vita, non del lavoro, e io devo pagare le pensioni anche a loro. Basta, il mio portafoglio è quasi voto e non c’è la faccio più.

martedì, marzo 16, 2010

Impiegato comunale

Da un po’ di tempo che i miei colleghi non mandano più il materiale umoristico sul quale si dovrebbe basare questo blog e così ho dovuto di scrivere anche qualcosa di intelligente e saggio da testa mia. Non è per caso che hanno cominciato a lavorare? Ma figuriamoci, c’era periodo festivo e ci si divertiva già a sufficienza fuori ufficio. Ma adesso abbiamo ripreso ed ecco la prova.

Barzelletta


In un villaggio piccolo e montano della Lombardia c’è un toro solo, proprietà di un contadino vecchio. Tutti del paese devono pagare a questo contadino per far inseminare le loro vacche da questo toro. Un giorno in consiglio comunale si vota ad unanimità di comprare il toro del contadino e farne un bene pubblico.
La trattativa andava per giorni e alla fine il sindaco ed l’assessore per l’agricoltura riescono ad ottenere un prezzo accessibile e comprare il toro dal contadino. Il toro è stato sistemato in una nuova, bellissima stalla accanto al municipio con tutte le comodità a disposizione, ma quando si tratta di montar vacche, il toro non alza un dito, non fa assolutamente niente – indifferente al cento per cento.
I contadini disperati ed il sindaco vanno dal vecchio padrone del toro e gli chiedono come mai non tromba più. Questo se ne va a vedere il toro e lo trova nel suo recinto che bruca tranquillo. Gli dice:
- Ue, toro, perché non trombi più?
Il toro lo guarda sotto occhi e gli fa:
- Ue pirla, adesso sono impiegato comunale!

sabato, febbraio 13, 2010

Guerre Stellari

Ho un amico appassionatissimo dei film Guerre Stellari, in originale Star Wars. La sua
passione e così forte che nel baule della sua macchina si trovano sempre due spade laser e
spesso, quando ci troviamo insieme, diciamo dopo una cena nel ristorante, combattiamo
davanti alle nostre fidanzate che ci guardano incredule. Una passione che diverte, almeno
noi due, anche se è tutta sua. Visto che lui vorrebbe far crescere la mia adorazione verso
questa mitica saga hollywoodiana, mi ha prestato tutti e 6 DVD con i relativi episodi. In
ordine della storia sono questi:


  • La minaccia fantasma

  • L'attacco dei cloni

  • La vendetta dei Sith

  • Una nuova speranza

  • L'impero colpisce ancora

  • Il ritorno dello Jedi



E' già qui c'è una curiosità, ben conosciuta agli appassionati. Il primo film realizzato è in
effetti il quarto episodio, Una nuova speranza, dopodiché l'hanno seguito il quinto ed il sesto
episodio, tutti fatti alla fine degli anni 70, inizio anni 90. Dopo, negli ultimi anni (2000) hanno
ripreso le registrazioni partendo dal primo episodio e producendo anche il secondo ed il
terzo.

Maggior parte dei film avevo visto già prima, tranne gli ultimi due in ordine di registrazione (2o
e 3o episodio), ma tanti anni fa e così in una settimana me li sono sparati tutti e 6. Addirittura,
un giorno ho visto due film, uno pomeriggio e una nella tarda notte (qui aggiungo che tra
questi due eventi sono andato anche a cinema a vedere Soul Kitchen - roba da due soldi e
da evitare). Mi sono piaciuti di più gli episodi 1, 3 e 5, cioè quelli dispari, mentre quelli pari
erano, almeno per me, un po' meno coinvolgenti (se scrivo noiosi, il mio amico si incavola
come un crauto - è il singolari di crauti).

La parte filosofica, riflessivo del film è la filosofia dei Jedi, le entità umanoidi, ma anche delle
altre razze, che riesce a gestire la Forza, cioè l'energia spirituale che ci circonda e fa vivere.
Loro la applicano per fare del bene, mentre i Sith sono una cosa simile ma sono rivolti al lato
oscuro della Forza. Tornando sulla filosofia, in pratica bisogna lasciar perdere tutti i possessi
delle cose ed i coinvolgimenti sentimentali in quanto la sofferenza per la loro perdita ci può
portare sul lato oscuro. Così nel terzo episodio, il nostro eroe Anakin Skywalker, il padre
dell'eroe delle ultime 3 puntate, passa nell'oscurità sperando che là troverà il segreto per
salvare la vita della sua moglie che dovrebbe morire durante il pranzo (spesso hanno le
visioni del futuro).
Molto buddista e con molti argomenti convincenti, ma lontano e difficilmente comprensibile da
noi occidentali, che si poniamo una legittima domanda: ma se mi stacco da tutto, che senso
ha il tutto.

Comunque, bravo Lucas, sei uno grande. E che la Forza sia con voi.