lunedì, novembre 26, 2012

Una croata a Belgrado – parte 1

Appartengo alla classe del 1979 e ad una generazione diventata, nel corso degli anni, orfana della propria nazione. Ma non è stato sempre così. Uno dei miei primi ricordi risale al periodo scolastico e ad una fotografia, quella di Tito, in uniforme e sorridente, che ci guardava dal muro della nostra aula, in cui, anche se bambini ci sentivamo adulti. Le maestre, oltre a insegnarci nozioni base per la nostra vita futura, ci trasmettevano il senso di importanza del nostro paese. Ci parlavano della Jugoslavia, era questo il suo nome, della sua grandezza, dei suoi valori e del senso di comunità.

Presto iniziarono i preparativi per una delle cerimonie più importanti nella vita di un bambino jugoslavo: diventare “pioniere”. Si trattava del primo dei tre passi, tipico dei paesi comunisti, per diventare a tutti gli effetti parte integrante del sistema politico e sociale. Il significato reale di tutto ciò era molto più complesso ma noi bambini vedevamo soltanto le nostre danze di gruppo, canti, divise bianche, blu, rosse e la cosa più importante di tutte: il giuramento. Con esso davamo la nostra parola che ci saremo impegnati nello studio, che avremo rispettato i genitori e le persone più anziane. Parlavamo anche dell’amicizia, promettendo di essere dei buoni amici, leali e fedeli, di amare il nostro paese e diffondere la fratellanza e le idee per cui Tito aveva combattuto. Concludevamo allargando le nostre parole all’umanità e a tutti quelli che volevano la pace e la libertà. Abbiamo giurato che li avremo stimati e rispettati.

Erano gli anni della spensieratezza infantile, del senso di sicurezza che ci veniva offerto giorno dopo giorno e dell’innocenza. Poi, nella mia vita ci fu un drastico cambiamento: il trasloco, non uno qualsiasi in cui si cambia via oppure quartiere. Nel 1991 cambiai nazione e mi trovai di fronte a dei nuovi usi e costumi, davanti ad una nuova cultura, quella occidentale. All’epoca ero un’adolescente ed il mio mondo, i miei problemi erano più importanti di qualsiasi evento, persino di una guerra.

Anche se i giornali e i telegiornali non facevano parte della mia quotidianità, non potevo non venire a conoscenza di quello che stava accadendo nella mia terra di origine. All’improvviso mi trovai di fronte ad uno stato del tutto nuovo in cui il nostro senso di comunità si era drasticamente ridimensionato. Non c’era più il senso di fratellanza che ha lasciato spazio ad una netta distinzione tra chi era serbo e croato, cattolico oppure ortodosso. Noi croati diventammo “ustascia” per i serbi e loro, per noi diventarono “cetnici”.

Un aspetto che apparteneva ai paesi comunisti era la laicità. A scuola, non ci avevano mai parlato di Dio ma nel giro di poco tempo la religione a cui apparteneva la propria famiglia diventò di fondamentale importanza, tanto che le chiese assunsero un importante ruolo. Negli occhi degli adulti mi sembrava che lo stupore fosse minore, le parole: “Era inevitabile dopo la morte di Tito” davano una sorta di alibi e accettazione a tutto ciò che accadeva. A volte rientravo nella mia città natale. Rimasi stupita dalla improvvisa presenza di Dio nelle loro vite e dall’accentuato nazionalismo di cui erano diventati vittime.

Una sera andai a trovare la mia amica di infanzia. Sua madre, una volta, mia maestra delle elementari, mi aprì la porta e felice di vedermi si avvicinò per darmi un bacio. Al secondo bacio si fermò ma io, avendo oramai assorbito le usanze occidentali, feci l’errore di dargliene uno terzo, al che si arrabbiò e mi disse che così baciavano i serbi. In quella stessa settimana, un ragazzo mi chiese di uscire. Mi portò alla messa di Natale che nessuno dei due fino a quel momento aveva festeggiato e così per la prima volta entrai in una chiesa dove mi resi conto della velocità con cui noi croati abbiamo rispolverato la nostra spiritualità, rimasta in ombra per tutto il periodo di Tito. Quanto a me, il processo di trasformazione non ebbe successo, rimasi quella che ero: croata da parte del padre e serba da parte della madre, senza una presenza divina a mio fianco.

Qualche anno dopo, la guerra in Croazia finì. Le vicende politiche passarono in secondo piano e la vita riprese il suo naturale corso. I miei amici croati iniziarono ad esplorare la loro nuova identità fatta di nuove idee politiche e di espansione verso l’Occidente. Era il 1996, l’anno che segnò la storia grazie alla nascita di Internet. Non molto tempo dopo volai negli Stati Uniti dove rimasi per un’intera estate. In un certo senso avevo visto il mondo e guardato le varie culture, senza però vederle per davvero. Per farlo, impiegai anni. La mia vita americana si concluse e tornai in Europa, circondata dal benessere e dalle numerose opportunità. Lentamente mi amalgamai alla società che avevo intorno, accettando le sue regole. Senza farmi troppe domande.

Quando ero bambina passavo le estati nella nostra casa di montagna. Insieme ai nonni che cercavano di assecondare ogni mio desiderio. Uno di questi fu la bicicletta. In poco tempo diventò una parte di me. Ovunque stavo io, c’era anche lei o quasi. Mi vietarono di trasportarla in macchina quando andavamo a fare visita a numerosi parenti presenti nello stesso luogo. La domenica era in assoluto la mia giornata peggiore. Alle tredici in punto il pranzo veniva servito a casa del fratello di mia nonna. C’erano anche degli altri bambini con i quali non mi interessava socializzare, volevo soltanto guidare la mia bicicletta. Per accorciare quel tempo infinito, sgattaiolavo dall’uscita posteriore della casa e salivo sul prato dove mio cugino dipingeva. Ci sedevamo entrambi sotto un albero che ci riparava dal sole. Lui, sullo sgabello. Io, sull’erba. Passavo tutto il pomeriggio a guardare la sua tela, tenevo i pennelli, colori, strofinacci bianchi e portavo delle fresche bevande che ci aiutavano a sopportare il caldo di agosto. Non ero certo contenta di alzarmi in continuazione per andare in cucina ma ero piccola e lui mi sembrava autoritario, perciò obbedivo senza protestare. Da quel episodio sono passati tantissimi anni, per entrambi e la vita ci ha separati. Non dimenticatevi l’inizio di questa storia, in cui vi ho parlato della guerra.

Venti anni più tardi, una volta adulti, ci siamo rivisti e realmente conosciuti. Nell’arco di una estate abbiamo percorso gli anni che ci sono mancati, di nuovo sul prato, in una cucina, nella macchina e davanti al mare. Lui ha continuato a dipingere e ha deciso di condividere il suo mondo interiore organizzando la sua prima mostra indipendente. Ho preso un aereo e sono volata fino a Belgrado, dove, ho cominciato a farmi delle domande.

Negli ultimi anni i rapporti fra la Serbia e la Croazia sono migliorati. Le spiagge della Dalmazia, per esempio sono frequentate dai turisti serbi e Belgrado, soprannominata la città della musica, è diventata una meta molto amata dai croati, soprattutto per la sua vita notturna, la quale è stata anche inserita da una famosa guida turistica fra le dieci capitali mondiali del divertimento. Arrivai in una grigia e piovosa mattina di metà ottobre, ignara del mondo in cui stavo per entrare.
La frase: “questa era la capitale dello stato in cui sei nata” mi diede il benvenuto. Come cittadina croata con il suo inequivocabile accento non sapevo cosa aspettarmi dagli abitanti di questa città bianca (traduzione letteraria di Beograd, il nome serbo di Belgrado) ma mi accorsi che al mio modo di parlare nessuno ci faceva caso, a differenza di quello che accade in Croazia dove l’accento serbo, non passa del tutto inosservato.

venerdì, maggio 04, 2012

Ambiente

Ieri sono tornato dall’ufficio un po’ prima del solito, verso le cinque e mezza. In effetti ero fuori città per lavoro e non avevo voglio di rientrare in quel posto dove c’è il capo e tutti i colleghi pettegoli e poco simpatici. Così dritto a casa. L’entrata nella cucina era triste: qualche giorno fa sono ceduti i pensili. Meno male che sono rimasti appesi e non sono caduti. Mi toccava toglierli tutti e adesso aspetto la cucina nuova che dovrebbe arrivare alla fine del giugno. Avevo preso la birra dal frigo e sono andato al soggiorno a mettermi in poltrona davanti al televisore acceso. Sfogliati i canali principali, la mia attenzione è stata attirata da una trasmissione che parlava dell’ambiente, o meglio del suo inquinamento. Non sono uno che da troppa importanza all’argomento , ma quello che ho visto mia ha sconvolto in un certo senso e mi ha lasciato un’impronta forte.

Hanno fatto vedere alcuni esempi di inquinamento dei quali il più clamoroso è quello dell’oceano Pacifico. Là, nella zona del arcipelago hawaiano, c’è un’area enorme, di qualche centinaia di chilometri quadri, dove sotto la superficie dell’acqua galleggiano migliaia di centinai di resti in plastica, spesso molto sbriciolati. La percentuale di questa materia artificiale, non presente nella natura, supera più volte la percentuale del plancton oceanico. Molti degli abitanti dell’oceano ingoiano questa plastica insieme con i plancton. Alcuni muoiono a lungo termine ed alcuni nel frattempo finiscono sui nostri piatti, facendoci pagare direttamente in salute il danno che stiamo provocando. Son rimasto allibiti dalle immagini mostrate. Questa è l’area più grande del mondo, ma dicono che negli altri oceani sono presenti altre tre, tutte tenute ferme dalla circolazione delle correnti oceaniche.

Un altro servizio mostrava una città cinese, non mi ricordo il nome, verso sud-est del paese, sulla costa del mare Giallo. La finisce quasi tutta la roba informatica dismessa, da tutto il mondo. I computer, i monitor, le tastiere; disassemblano tutto per riciclaggio, dividendo le parti in plastica, da quelle in metallo e recuperano anche i materiali pregiati che si trovano nei circuiti stampati. Una città di un milione di abitanti, dove oltre un quarto della cittadinanza lavora nel campo del riciclaggio. Ed è tutto illegale in quanto le leggi internazionali, non firmate dagli Stati Uniti e dal Giappone, vietano trasferimento di questo tipo di rifiuti all’estero. Lo vieta anche la legge cinese, cioè l’importazione, ma visto che la Cina prende un sacco di soldi di quest’attività, i funzionari statali semplicemente chiudono gli occhi e non vedono i container pieni dei rifiuti informatici. Per chiudere meglio gli occhi, appena si apre un container si vede un mazzo di dollari.

Ragazzi, un disastro totale e qui c’è poco da fare; è tutto dovuto allo sfrenato consumismo, incalzato anche da tutti i governi. Vi ricordate la pubblicità quando uno esce dal negozio con la spesa e gli si avvicina uno dicendogli: grazie, stai aiutando l’economia del paese. Ma la quantità dei rifiuti che produce la nostra civiltà e davvero enorme e direi che prima o puoi diventerà insopportabile. In Italia abbiamo già avuto qualche assaggio a Napoli.

mercoledì, gennaio 25, 2012

Stufo

Oggi è una giornata no, per quanto riguarda l'ufficio. Sono arrivato come al solito, verso le 9 e tutti hanno cominciato a rompere: mi fai questo, ma perché non hai creato quello, guarda che la procedura che hai fatto è migliorabile. Ma anche tu sei migliorabile: con due ritocchi le tue tette che arrivano fino allo stomaco si potrebbero facilmente raddrizzare e del culo non ne parliamo neppure. Ma fattemi piacere, lasciate mi in pace astrale, con il mio secondo corpo che inizia ad avere un po' di fame. Vado a mangiare e dopo vi racconto tutto. So che non vi importa un fico secco, ma mi sentirò meglio io dopo aver confidato i miei pensieri ad un pezzo di carta, potenzialmente con alta diffusione ma pochi interessati.

Il pranzo è andato bene ed il mio stomaco non brontola più. E' per questo che anche la mia anima è più gioiosa? Merito anche di una splendida giornata solare e nemmeno tanto fredda come quelle precedenti. Allora ho mangiato una buona pizza margherita e una birra piccola. Mi andava anche quella grande ma in quel caso il prezzo del pranzo supera il valore del mio buono pasto. Visto che siamo in piena crisi economica, occorre fare degli sacrifici e risparmiare, e io sono un buon cittadino e rispetto quello che si aspetta da me. Dimenticavo, ho preso anche il caffè (era un po’ freddo e mi è scappato troppo zucchero) e così dovevo aggiungere 30 centesimi in contanti (non mi da il resto del buono). Dopo sono entrato in un bar per comprarmi le sigarette (in questo modo sostengo ancora lo stato pagando delle tasse aggiuntive) e ho incontrato un collega che faceva fuori un grappino: ci vuole un digestivo dopo l'alimentazione, sostiene lui. Anche io sono d’accordo, ma forse è meglio fuori gli orari dell’ufficio.

Santa pazienza. Ieri ho visto la partita di Coppa – niente male per questa competizione, ma non me ne fregava più di tanto delle squadre che giocavano. La Juve una volta mi stava molto sul wurstel ma da quando è andato via Moggi non mi danno fastidio. Ma stasera c'è Napoli - Inter. Sono milanista io e per definizione dovrei tifare Napoli, ma sono anche leghista e non so che sosterrò: magari potessi tifare contro entrambi, ma non ha senso.


Crociera



Mai stato in una crociera. L'anno scorso dovevo andare a farla sul Nilo ma sono successe delle cose in Egitto ed era meglio non tirare il diavolo per la coda. Ma quella era molto diversa rispetto a quello che si intende quando si dice "crociera". Quella con 5000 persone al bordo, una città che si sposta via mare nelle altre città. Mia moglie si rifiutava di fare una cosa di genere perché, secondo lei, è una cosa degenerata, per vecchi e coglioni. Io volevo almeno provare (stop meglio in tutti i posti che si trovano fuori dalla mia stanza aziendale). Ma si è visto ultimi giorni che le navi non sono quelle di una volta, oppure sarebbe meglio riferirsi al capitano (non è quello della Findus), e io ho abbracciato, con la piena convinzione, il pensiero di mia moglie, per motivi un po' diversi, ma è importante che siamo in sintonia.